Tesfai era un pastore di capre che tutti i giorni usciva di casa all’alba con le sue caprette per portarle a pascolare sull’altopiano.
C’era una radura proprio sull’ansa del fiume, dove l’erba era molto verde e c’era un grande sicomoro con rami lunghi come braccia che faceva ombra. Tesfai si sedeva su una radice dell’albero che spuntava dalla terra come
un sedile, si avvolgeva nel suo gabì se faceva freddo, e stava a guardare le caprette che si nutrivano, pensando ai fatti suoi mentre masticava il rametto che usava per pulirsi i denti.
Una mattina, però, nella radura ci trovò un piccolo caporale italiano con la sciabola alla cintura, gambe arcuate e una gran pancia, assieme ad un ascaro indigeno lungo
e magro, con un fucile a tracolla. Stavano sul sentiero in fondo allo spiazzo e il caporale tracciava una riga col tacco dello stivale, camminando all’indietro, una riga profonda che tagliava la strada, e tornò anche per rifarla, più netta e decisa.
“In virtù del trattato di pace tra sua Maestà il Re d’Italia Umberto I e il Negus d’Etiopia Menelik
si stabilisce qui il confine tra la Colonia d’Eritrea” e indicò a sinistra, di qua dalla riga, dove stavano il sicomoro, Tesfai e le sue caprette, “e il Regno d’Etiopia” e indicò a destra, oltre la riga, dove erano spuntati due soldati con gli scudi di pelle d’ippopotamo, guradè dalla lama ricurva e fucili a canna lunga.
Tesfai annuì vigorosamente,
anche se non aveva capito niente perché il caporale l’aveva detto in italiano e lui non lo parlava, ma con tutte quelle sciabole e quei fucili in giro era meglio essere d’accordo su qualunque cosa.
Poi andò a sedersi sulla sua radice, la schiena appoggiata al tronco del sicomoro e il rametto tra i denti, a guardare le caprette. -
Da "La riga" di Carlo Lucarelli