La catastrofe essenziale che fonda la realtà del mondo è la morte ineluttabile di coloro che amiamo.
A chi asserisse di credere all’irrealtà delle cose, basterebbe ricordare la realtà del lutto.
Louis si rivedeva bambino in sogno. Era estate, era in piedi sull’erba del giardino. Rispondeva al cenno della mano che suo padre gli faceva dall’altra parte della strada (stava per
salire in macchina). Lui stesso, nel suo corpo impaniato di adulto quarantaquattrenne, se ne stava in disparte accanto a un albero e osservava il bambino che era stato. All’interno del suo stesso sogno, si domandava come fosse possibile una cosa simile. Il padre ripeteva all’infinito il saluto con la mano, come se quegli istanti girassero in tondo nell’eternità. Il ragazzino
era visibile soltanto di schiena. Che non avesse già più volto?
La sensazione di sprofondare strappò Louis al sonno. Non capì immediatamente dove si trovava e domandò all’autista di ripetere.
«La strada è bloccata, signore. Non si può più andare avanti».
«Bloccata?»
Il veicolo era partito in scivolata e s’era coricato nella neve che colmava il fosso sulla sinistra. E l’autista a imprecare. Ancora
abbagliato dalla visione del mattino di luglio, Louis stentava a giudicare la situazione. Forse perché aveva sognato suo padre? Tutto gli sembrava strano, incomprensibile. Anche il modo, curiosamente affettato, in cui l’autista bofonchiava. Si sarebbe detto un bambino che gioca ad arrabbiarsi come un grande.