L’ITIS Alberghetti odorava di ossido di saldatura e plastica di cavi elettrici. Il vecchio ITIS Mattei, invece, odorava di ossido di saldatura e lubrificante di raffreddamento.
Tutti e due erano popolati dalla stessa fauna e non serviva il cervello per scoprirlo; un paio di narici erano più che sufficienti.
Quattrocento studenti, tutti maschi. Tanto valeva entrare in clausura. L’Alberghetti di Imola occupava
un’antica dimora di campagna appartenuta a un ricchissimo conte ormai estinto, adagiata lungo un intero lato di corso Dante, un viale di ippocastani che dalla circonvallazione vecchia andavano in processione fino al ponte dell’autodromo. Corso Dante era davvero un’oasi di pace, forse non del tutto dimenticata da dio, ma di sicuro dagli autobus di linea che per motivi sconosciuti ci
giravano sempre alla larga.
I figli dei servi della gleba che come me scendevano ogni mattina in città dal contado dovevano affrontare un lungo e accidentato percorso dalla stazione delle corriere, un pellegrinaggio in cui ti toccava attraversare tutto il centro storico e che ti lasciava davanti ai cancelli con la lingua a penzoloni e la schiena rotta.
Io, che quasi mai
avevo il fisico adatto alle incombenze della vita quotidiana, non potendo tiranneggiare la bassa manovalanza di prima e seconda, guardavo sempre con una certa invidia i ragazzi più grossi che invece la sfruttavano a piene mani.
Gli schiavi del biennio arrivavano in fila indiana per ultimi, carichi di zaini come i muli degli alpini.